
La Dakar 2020 va in Arabia Saudita dove le donne guidano da un anno e diventa il baluardo del gender gap.
Dal 5 al 17 gennaio 2020 si svolgerà la 42° edizione della Dakar, arrivata al suo terzo capitolo. E’ la gara più dura al mondo, la sua prima edizione risale al dicembre 1978, quando il rally raid snocciolava il suo percorso in Africa. E’ stata poi la volta del Sud America, dove è approdata nel 2009. Prima ha attraversato i sontuosi paesaggi dell’Argentina e del Cile, dove i piloti hanno ricevuto il supporto di 4 milioni di spettatori nella prima edizione della nuova era. Dopo tre tracciati in loop con arrivo a Buenos Aires, viene quindi disegnato un itinerario lineare, con l’arrivo sulle rive del Pacifico, a Lima, capitale del Perù. La Bolivia diventa poi il 28° Paese che ospita la Dakar dove la scoperta dell’Altopiano e del Salar de Uyun introducono una nuova difficoltà da superare: la gestione dell’altitudine, che va a colpire sia il fisico dei partecipanti che il rendimento dei veicoli.
Arabia Saudita: c’è molto di più oltre alla gara
Dopo aver scoperto il Paraguay nel 2017, la Dakar visita l’anno prossimo il 30° Paese del suo personale mappamondo, l’Arabia Saudita. Il più grande della Penisola Arabica, i partecipanti andranno a conquistare Rub al-Jali, la “zona vuota”, un immenso territorio vergine tutto da esplorare. Ma quest’anno oltre alla gara c’è di più. In Arabia Saudita le donne possono guidare da poco più di un anno e ancora tanta strada deve essere fatta per colmare il gender gap che è radicato in quella cultura da generazioni. Questo cambiamento culturale può partire anche dallo sport e la Dakar apre la strada alla guida femminile anche nel mondo delle gare. Piloti di tutto il mondo e con tutti i passaporti potranno iscriversi alla Dakar 2020 e questo è già un passo da giganti per l’Arabia Saudita. Il Governo arabo investirà 70 milioni di euro per i prossimi 5 anni ma il ritorno andrà ben oltre i meri calcoli economici. Sono già 15 le donne iscritte ma speriamo che sia solo l’inizio di una vera e propria rivoluzione culturale che parte dalla passione.
L’Italia alla Dakar
Del resto è la passione che spinge gli equipaggi ad iscriversi alla Dakar.
“Tutti i giorni che siamo alla Dakar pensiamo per quale maledizione ci siamo iscritti e non vediamo l’ora di tornare a casa. Dopo due giorni che è finita già si pensa alla successiva”.
Da queste parole di Renato Rickler si capisce bene cosa significa partecipare a questa gara e Renato lo sa bene. Pilota, team manager, preparatore di vetture da gara, istruttore di guida fuoristrada, organizzatore di gare, viaggi avventura, raduni e molto altro, il Responsabile di RTEAM, che partecipa al rally raid dal 2000 quest’anno porterà tre equipaggi in Arabia Saudita.
Mediamente, su 100 iscritti, solo 36 giungono all’arrivo, anche questo ha contribuito ad aumentare il significato eroico che sta dietro la conclusione della Dakar. Il secondo evento di motorsport più importante coperto dai media al Mondo, dopo la Formula 1 che, solo nell’organizzazione vede coinvolte 2.500 persone, 60 auto, 10 bus, 70 medici, 7 aerei, 10 elicotteri, 50 camion merci. Meno di due settimane di gara che richiedono più di sei mesi di duro lavoro per arrivare all’appuntamento pronti. RTEAM sta già lavorando e noi li seguiremo con passione ed entusiasmo, anche perché quest’anno la Dakar è ancora di più.
Dream. Dare. Live it. Women Empowerment