
Mobilità privata vs trasporto pubblico locale: la “sfida” del dopo Coronavirus
Con l’avvio della Fase 2, che partirà il 4 maggio, inizia anche un’inevitabile “sfida” a colpi di cambiamenti e interventi necessari, tra il trasporto privato e quello pubblico locale (TPL). In una lettera indirizzata alla Ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, il direttore generale di ATM Milano, Arrigo Giana e il direttore generale di Ferrovie Nord Milano, Andrea Gibelli, informano il Governo che
“il distanziamento ipotizzato di 1 metro per la Fase 2 limita la capacità del sistema dei trasporti di persone al 25-30% del numero di passeggeri trasportati in condizioni di normalità”.
Una situazione ingestibile. La lettera dei due manager è un accorato richiamo allo Stato per aiutare le aziende del trasporto pubblico.
Situazione analoga è quella che stanno vivendo le Case auto, che si trovano a fronteggiare ingenti perdite di volumi. Entrambe queste realtà hanno bisogno di un forte intervento di sostegno da parte dello Stato che dovrà accompagnare un piano organico di mobilità.
Gli interventi statali necessari per il TPL
Al Governo viene richiesto di intervenire, non solo con l’emanazione di decreti, ma anche concretamente, snellendo la burocrazia per far fronte ad una differente modalità di trasporto.
In primis sarebbe necessario garantire da parte del Ministero la disponibilità di un fondo trasporti e di un fondo di ristoro della perdita dei ricavi che derivano da questo periodo di lockdown, consentendo anche una maggiore flessibilità sulla modalità di acquisto di nuovi mezzi.
Mi domando se si renderà necessario tornare alla mobilità tradizionale per ridurre i costi, o vi sarà comunque modo di sviluppare un parco mezzi ad alimentazione alternativa. Sarà questa la svolta per riflettere sui reali servizi utili da offrire al cittadino e come migliorarli, o ci si fossilizzerà su un servizio ancora in molti casi scadente, dando la colpa di queste défaillance al COVID-19? Ho paura di dover dare un parere negativo.
Ulteriore necessità sarà poi quella di pensare ad un modello basato sull’intermobilità e considerare che il 10% circa dei trasporti potrebbe essere sostenuto dalla cosiddetta mobilità “dolce”, quella dei monopattini, delle biciclette e degli scooter elettrici.
Facendo una stima rapida le perdite del settore TPL superano una cifra di 250 milioni di €. Sarà dunque forse il caso di muoversi e mettere in atto misure emergenziali per evitare uno tsunami e la fine del TPL? E’ quello che chiedono i manager nella loro lettera quando scrivono “Qualunque sarà la scelta adottata è essenziale garantire l’equilibrio economico-finanziario dei contratti assicurando l’integrale ristoro dei minori ricavi e dei maggiori costi gravanti sulle aziende”.
Nuovo approccio per le aziende del TPL
Si parla tanto di distanza sociale (mi domando se davvero sarà fattibile sui mezzi), di obbligo mascherine, di un ripensamento degli orari delle città. Tutte misure e soluzioni di certo necessarie, ma non ci si sofferma mai sulla qualità del servizio, sull’indispensabile ripensamento di alcune tipologie di trasporto e dell’urbanistica, ma soprattutto su quello che sarà l’approccio dell’utente ad una modifica delle modalità di trasporto. Il passeggero sarà ancora disposto a prendere i mezzi pubblici, o deciderà di migrare verso la mobilità privata? La prima cosa da fare, per evitare che tutti prendano l’auto ed il traffico si congestioni, sarà quella di dare una garanzia di controllo e sicurezza elevata a bordo dei mezzi pubblici: potenziare le corse, studiare un sistema per contingentare gli accessi, posizionare segni a terra su mezzi e banchine per garantire il distanziamento, occuparsi di un’igienizzazione continua dei mezzi e imporre modifiche strutturali a bordo degli stessi, quali speciali rivestimenti dei sedili, sistemi di sanificazione e nuovi mancorrenti. Tutte opere utili per assicurare una maggiore igiene e di conseguenza una più elevata qualità del TPL, che potrebbe convincere i viaggiatori a salire ancora su un autobus, su un treno o sulla metro. Opere che per essere realizzate hanno comunque bisogno di risorse, che ancora una volta dovrebbero arrivare dallo Stato.
Sostegno alla mobilità privata
L’automobile, dopo la propria abitazione, è il secondo investimento più importante per un cittadino. Ora come ora sono diversi gli stock di vetture bloccate e la prima domanda che si pongono i concessionari è se questi veicoli riusciranno ad essere venduti. Da un lato il Coronavirus porterà quasi sicuramente ad un maggior di utilizzo dell’auto personale rispetto al TPL, perché considerata più sicura, invertendo così il percorso di promozione della mobilità sostenibile, per la quale si è investito molto negli ultimi anni. Dall’altro in Italia rimarrà il problema della bassa capacità di spesa da parte dei consumatori. In questo periodo di forte crisi economica non tutti potranno permettersi di acquistare una macchina nuova e di conseguenza aumenteranno traffico ed emissioni.
Bisognerebbe intervenire a sostegno del mondo automotive con un piano di stimolo della domanda, che farebbe bene sia ai concessionari (e di conseguenza alle case), ma anche ai clienti che vorrebbero procedere con l’acquisto, ma non possono “osare troppo”. Come fare? Con forti incentivi di maxi rottamazione per risvegliare il mercato, approfittandone anche per eliminare dalle strade le auto più vecchie ed inquinanti, dagli Euro 0 agli Euro 3. Se questi incentivi non arriveranno, ecco che i clienti non saranno invogliati all’acquisto ed il mondo dell’auto andrebbe incontro ad una crisi ancora più grave di quanto già non stia accadendo.
E’ chiaro che saranno poi necessari anche degli interventi logistici importanti da parte delle singole Regioni e dei Comuni/Città, per garantire che la mobilità privata non congestioni le strade. Pensate all’esempio di Roma ed alle problematiche preesistenti legate al traffico: se solo si verificasse un aumento del 10% di auto private in circolazione, soprattutto nelle ore di punta, tutto si fermerebbe!