La mia 42 ore di Le Mans: no, non è un errore di battitura.
22.06.2018 - in

La mia 42 ore di Le Mans: no, non è un errore di battitura.

Si, sono stata sveglia 42 ore di seguito ma come avrei potuto fare diversamente? Volevo vivere fino in fondo la mia prima volta a Le Mans e, per farlo, non c’è tempo di dormire! 24 ore non bastano per fare tutto quello che offre Le Mans. Le attività nella cittadina della regione dei Paesi della Loira durano almeno una settimana e culminano con la parata dei piloti del venerdì pomeriggio. La città si ferma e inizia la festa che parte da Place des Jacobins, con la sua cattedrale gotica del 1400 che conferisce un’aria solenne e sembra subito di essere proiettati verso una realtà parallela. Sfilano auto e piloti in mezzo a musica, colori e gadget lanciati alla folla. Un carnevale di Rio del motorsport. E’ così che inizia la magia.

La magia che ho ritrovato prima dell’inizio della gara, guardando quell’orologio che inizia il conto alla rovescia dopo che le auto passano lanciate sotto il traguardo. Quest’anno la bandiera è stata sventolata da Rafael Nadal, che l’ha ricevuta dai paracadutisti che si sono calati dalle corde di un elicottero che sorvola il podio. La magia di quando suonano la Cavalcata delle Valchirie e la musica di 2001 Odissea nello Spazio, la magia dell’inno nazionale francese e dei colori della pattuglia acrobatica delle frecce tricolori. Una gara che è piena di imprevisti, colpi di scena, incidenti, forature, rotture, ma magica.

Il momento più magico per me è la notte, come potevo dormire? Praticamente ipnotizzata dalle auto che si illuminano, con quei fari che squarciano l’oscurità e i numeri sulle fiancate che prendono vita. E dentro ci sono loro, i piloti che non mollano mai e guidano come se fossero appena saliti in macchina. Quei secondi di silenzio che ci sono tra il passaggio delle macchine sono quasi fastidiosi, mi manca il rumore che intanto è diventato il ritmo del mio respiro e, se non lo sento, mi sembra quasi che mi manca.

La magia che non ha lasciato indifferenti Steve McQueen, Paul Newman, Patrick Dempsey. La stessa che avvolge la leggenda di Michel Vaillant, nato dalla matita di Graton e diventato film nel 2013 con Adrenalina blu, una pellicola che non può vincere un Oscar ma, per un appassionato, ha vinto tutto! Le Mans non è solo la gara, ci sono simulatori di gioco, concerti, kart, bancarelle dove trovare di tutto. Tutt’intorno al circuito l’aria profuma di salamella e birra ed è un brulicare di tende, camper e roulotte. Ma Le Mans è magica quindi non sorprendetevi di trovare una tenda canadese vicino a una Ferrari o a un’Aston Martin, perché questa è Le Mans.

Tutti attirati dalla magia del circuito di la Sarthe, anche i piloti di Formula 1 sentono il suo richiamo e quest’anno sono ben 24 quelli che corrono la 24 h. E poi ci sono i novellini, i “rookie”, quelli che sono al loro debutto, che però proprio debuttanti non sono, come Alonso, Button, Montoya. Gli equipaggi in tutto sono 60, di quattro differenti

categorie che corrono lungo i 13,626 km del circuito. Ci vuole coraggio per far girare quattro tipi diversi di auto e piloti che arrivano da competizioni diverse, con esperienze diverse e capacità diverse. Cosa tiene insieme tutte queste cose? Secondo me una cosa sola: il coraggio. Esiste dal 1923 e anche l’86° edizione della 24 h di Le Mans ha coraggio da vendere e da raccontare.
Il coraggio di Toyota, che dopo tanti anni di tentativi ha finalmente vinto la gara e rotto il malefico sortilegio. Ci vuole coraggio per non arrendersi, non cadere nella trappola del vittimismo e della sfortuna ma, orgogliosamente andare avanti, cercare soluzioni, migliorare e rafforzare la squadra e la macchina invece di mollare.

E poi c’è Alonso. Con questa vittoria ha ipotecato la Tripla Corona, quel titolo che fu di Graham Hill e che, per aggiudicarselo, prevede la vittoria di un Campionato di Formula 1, di Indianapolis e della 24 ore di Le Mans. Ci vuole coraggio a prendersi i rischi di una gara lunga 24 ore. Sarebbe più “comodo” rimanere nella comfort zone della Formula 1. Può essere un personaggio che sta simpatico o antipatico ma sicuramente ha avuto coraggio facendo questa scelta.
C’è il coraggio dell’unica donna in gara con 179 uomini: Christina Nielsen, corre nella classe GTE Am, con la Porsche 9111 RSR n. 80 del team Ebimotor e divide il sedile con Fabio Babini e Erik Maris
C’è il coraggio di Mark Patterson, che alla tenera età di 66 anni ha corso la gara.
C’è il coraggio di Cetilar Villorba, un team italiano in LMP2 che non si è fermato dopo il brutto incidente avuto da Giorgio Sernagiotto in qualifica, in uno dei punti più veloci della pista. Una volta appurato che Giorgio stava bene, è partita una lotta contro il tempo per fare in modo che l’auto fosse schierata alla partenza. Nessuno ha dormito e alle 15 di sabato 17 giugno la Dallara P217-Gibson n. 47 era in pista e Giorgio è partito al volante. Ci vuole coraggio, il coraggio del team, degli altri piloti Roberto Lacorte e Lasr, di Giorgio, dei meccanici, di tutti. E ci vuole coraggio per arrivare fino in fondo, perché la loro gara è stata piena di imprevisti e non hanno mollato. Sono arrivati 11° nella loro categoria e 20° assoluti, un risultato che ha quasi dell’incredibile, visti i presupposti.
E tutto questo coraggio deve aver contagiato anche me perché ho fatto qualcosa che normalmente non avrei mai fatto. Sono andata a visitare il museo dell’Automobile che c’è a Le Mans e ho fatto una full immersion tra modelli di auto che hanno fatto la storia del motorsport. Finita la visita ho buttato un occhio nello shop del Museo e c’era il libro di Tom Kristensen, The Book, che è il mio idolo ed era a Le Mans. Ho fatto uno di quegli acquisti ossessivi compulsivi, senza pensare al prezzo, l’ho fatto mio.

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Subito dopo ho pubblicato la foto su Instagram, citando anche lui. Poco dopo LUI mi ha risposto, con una serie di faccine in segno di ringraziamento. E’ a quel punto che ho preso il coraggio a due mani e gli ho scritto se avrebbe potuto autografarmelo. Lui mi ha risposto di si e ci siamo dati un appuntamento per incontrarci. Mi è sembrato di vivere in una favoletta: stavo chiacchierando con Tom Kristensen, Mister Le Mans, l’uomo che ha vinto nove volte la 24 ore, lì con me a rispondere alle mie domande, a dedicarmi il suo libro e pure a fare la classica foto ricordo.

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Tutto questo per me è la magia di Le Mans, quello che la rende unica e speciale, nel bene e nel male, perché è una gara lacrime e sangue, che bisogna affrontare con coraggio, come la vita.

Un ringraziamento speciale ai miei compagni di viaggio che hanno reso, grazie ai loro racconti e alla loro pazienza, questa esperienza ancora più magica. Grazie Dario, Giorgio, Luigi, Marco, Riccardo, Stefano.